I primi combustibili a essere usati furono il carbone e l’olio di balena, il petrolio subentrò a metà Ottocento: ricavandone il cherosene che fungeva da combustibile per l’illuminazione.
Con la diffusione dei motori a scoppio fino ad arrivare a quelli odierni a Diesel, è diventato una delle prime fonti di energia utilizzate dall’uomo. Ad oggi, inoltre, viene utilizzato in molteplici settori: nell’industria chimica per produrre coloranti, medicinali, gomme sintetiche, fertilizzanti, plastica ma anche di prodotti cosmetici come la lanolina o prodotti tessili. Nell’industria della moda, le fibre sintetiche, non sono né biodegradabili né riciclabili, creano danni all’ecosistema, (poliestere, elastan, neoprene, acrilico, nylon), sono prodotte in laboratorio, ma a differenza delle fibre artificiali che sono create con una materia prima di origine naturale, (viscose), le fibre sintetiche in natura non esistono e nascono dalla lavorazione del petrolio, di altri minerali o da sottoprodotti, un esempio è l’impermeabile, in natura non esiste una fibra con tali caratteristiche.
Negli anni abbiamo notato la nascita di fibre sintetiche ecologiche che cercano di aiutare ad arginare il problema dell’inquinamento, non dovuto solo alle produzioni tessili ma a tutti i prodotti dei settori prima citati. Le fibre sintetiche ecologiche, si occupano di recuperare rifiuti plastici riciclabili di ogni genere, trasformali in tessuti di alta qualità e reinserirli sul mercato, riducendo l’impatto ambientale.
Quando inizia la storia del petrolio
Il primo pozzo petrolifero, fu scavato nel 1859 in Pennsylvania a Titusville, quest’ idea rivoluzionario venne da George Bissel e il suo socio Jonathan Greenleaf Eveleth, in quanto quest’olio di roccia, era già stato utilizzato localmente per l’illuminazione.
Con scarse proprietà medicinali, il commercio s’incentrò proprio sulla creazione di combustibile per lampade, ma con l’auspicio di uno dei chimici più referenziati del tempo, B. Silliman Jr., si seppe che il petrolio distillato bruciava più di qualsiasi combustibile presente sul mercato e soprattutto appariva economico, virtù rimasta nel tempo, in quanto proprio la produzione così numerosa di prodotti derivanti dal petrolio è dovuta proprio alla possibilità di immettere sul mercato prodotti a basso costo.
La corsa ai pozzi di petrolio arrivò ben presto, tra i primi fortunati ad arricchirsi fu l’imprenditore Rockefeller che nel 1911 fu obbligato a chiudere la Standard Oil dal governo americano.
In MedioOriente, la situazione fu diversa e si attivò negli ultimi decenni dell’800; si riuscì a mantenere un clima di concorrenza fra le varie nazioni per i pozzi presenti in Persia e nelle terre dell’Impero Ottomano, questi paese, ricevevano una piccola percentuale dalle grandi compagnie sui profitti ottenuti dal loro petrolio. La situazione cambiò dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando si presentarono nuovo clienti, più piccoli, società nazionali come l’ENI, così che il petrolio venne nazionalizzato e successivamente a Baghdad nacque l’OPEC, dall’unione dei cinque paesi produttori: Arabia Saudita, Venezuela, Kuwait, Iran, Iraq con lo scopo di avere maggiore forza contrattuale, d’altronde i territori e il petrolio appartenevano a loro.
Tutto ciò però man mano ha portato ad un aumento della tassazione, minor esportazione e un aumento del costo del carburante.
Ad oggi, il costo del petrolio subisce numerose variazioni di mercato e viene stabilito sul mercato libero, con una concorrenza mostruosa fra i vari produttori.
Cosa accadrà in futuro
Come già accennato in precedenza, il petrolio provoca numerosi danni all’ecosistema, secondo lo scrittore e attivista americano J. Rifkin, entro il 2028 l’economia petrolifera collasserà, quesa teoria si evince anche nella sua ultima pubblicazione “Un Green New Deal Globale”, ma secondo numero esperti, invece, avverrà il contrario.
Aumenterà l’inquinamento in seguito al raddoppio dell’emissione di sostanze e alla messa in funzione e all’espansione dei giacimenti. Fra questi paese ritroviamo il Guyana, il Brasile, il Canada e la Norvegia.
Un anno fa questa era la situazione, con l’arrivo del Covid-19 che ha bloccato l’economia mondiale e non solo, senza che andiamo ad analizzare tutti gli altri fattori, chissà se ha permesso una riflessione in più su quello che dovrà accadere nel nostro paese, cercando di ricorrere a strategie di Green Economy.
Green Economy sì o no?
Per Green Economy, si intende un modello teorico di sviluppo economico che analizza sia l’attività produttiva nei benefici derivanti dalla crescita, sia l’impatto ambientale provocato dalla trasformazione delle materie prime.
L’inquinamento viene diminuito immettendo meno CO2, cercando di non danneggiare l’ecodiversità, mantenendo l’ecosistema neutro e salvaguardandolo; in questa lotta sono coinvolti in primis gli Stati che i privati che sono supportati dagli Enti pubblici, che creano anche diversi posti di lavoro detti green jobs.
L’Economia verde, così conosciuta nella nostra lingua, si basa sull’ottimizzazione delle risorse naturali, attraverso uno sviluppo sostenibile cercando di portare alla crescita del PIL. Economicamente parlando, però, la Green Economy ha delle pecche, l’utilizzo delle risorse naturali e il consumo eccessivo porta a un impoverimento che causa l’aumento dei prezzi delle stesse.
Il problema principale è racchiuso nella modifica della società in cui siamo cresciuti e viviamo. Passare a questo tipo di economia, porterebbe a una “corporate social responsability” che dovrebbe essere adottata dalle aziende con strumenti che provochino meno impatto possibile sull’ambiente e dai cittadini che dovrebbero abituarsi a dei comportamenti più consoni.
Considerando che abbiamo ancora difficoltà con la raccolta differenziata, siamo davvero pronti a fare questo cambiamento?